… Una pittura originalissima, connotata dal tratto evidente, come è stato detto, dell’uso di una materia “terragna e gessosa”, in delicato equilibrio sulla risicata linea di confine tra espressionismo più spinto e puro astrattismo, di cui si sono individuate risonanze con il naturalismo informale di matrice padana, esercizio di snebbiature o acquei vapori informali, ancorché mi sembri più vero – o più evidente – il solido radicamento della pittura di Deluca dentro l’albero della meridinalità, nel lirico intreccio tra densa luce mediterranea e temi – come direbbe Sciascia – delle cose di Sicilia.
Da qui, quella che a me pare, un’originalissima poetica pittorica della “reticenza allusiva”, una reticenza che, a volte è intrisa, come si diceva, di una sorta di pudore espressivo, specie quando si accosta a temi cari – o temi della sacralità religiosa – o comunque al delicato scandaglio del cosmo memoriale.
E saranno venti anni ora che abbandonando definitivamente la chiarezza del segno grafico, il naturalismo espressionista, Deluca inaugurava la stagione della pittura grumosa-a volte spessa come i calli delle mani dei contadini della sua terra – la deformazione dei tratti fisiognomici, le risoluzioni compositive per macchie di colore: un uniforme impasto dove soggetto e sfondo si fondono, sicché poi è un tratto, un appiglio, un segno, che porta l’occhio di chi guarda a individuare soggetto e tema.
Pitture che sembrano rinfrangere una filosofia espressiva da ascendenza schopenhauerana, con il senso sacrale del velo del mistero – mistero dell’essere e del vivere – che ammanta ogni cosa, la vera entità dell’impescrutabile darsi delle cose create, per cui è solo attraverso una sorta di approssimazione alveo, che la rappresentazione trova un’essenza oltre il banale del visibile, del dato che si dà nella sua parvente pienezza.
… Una pittura alla quale l’artista pechinese, Pur restando Fedele ai vincoli memoriali e tematici del suo essere siciliano, che ne costituisce Il cosmo ispirativo, esistenziale e storico-nottino sia che vada verso il paesaggio che verso l’antropologia del mondo del lavoro d’un tempo-apporta una forma di sdoganamento internazionale dei cliché della sicilianità in chiave mitopoetica, assumendo, per certi versi, il paradigma espressivo che tanto fu caro allo scrittore Gesualdo bufalino, della luce e del lutto.
… E da qui, forse, anche il ripiegamento di Giuseppe Deluca in un coraggioso riserbo elitario, il disdegno a mettersi in mostra ovunque e comunque, la decisa scelta di una produzione per estimatori, fuori da ogni logica commerciale, in una dimensione pervasivamente d’Artista votato al codice stilistico ed emozionale di un’arte dentro la cosmologia di delicatissime risonanze interiori e coltissime “reticenze allusive”.
Giuseppe Drago
Tratto dalla critica che lo scrittore e filosofo, Giuseppe Drago, dedicò a Giuseppe Deluca nel 2009
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